Chiaro, esplicito e condivisibile pienamente l’esordio del ministro: si doveva salvare la vita di un cittadino italiano, questo era l’obiettivo, l’obiettivo è stato raggiunto. Stop.
E non ci sarebbe altro da aggiungere se la Farnesina non fosse andata a complicarsi la vita.
E invece, già D’Alema si sente di dover aggiungere che al Governo italiano premeva la liberazione tanto di Mastrogiacomo quanto quella del suo interprete afghano, Adjmal Nakshbandi, barbaramente decapitato dai suoi sequestratori domenica 8 Aprile. Infatti, la trattativa portata avanti da Emergency per conto del Governo italiano, prevedeva la liberazione anche del cittadino afghano assieme al nostro Mastrogiacomo. Una mossa primariamente politica piuttosto che umanitaria, e a chiarirlo è lo stesso D’Alema oggi a Montecitorio: la sovranità territoriale in Afghanistan appartiene al Governo afghano. Con quale legittimità l’Italia avrebbe mai potuto ordinare la scarcerazione dei prigionieri afghani richiesta dai sequestratori talebani come contropartita per la liberazione degli ostaggi? E perché mai Karzai avrebbe dovuto accettare se in ballo ci fosse stata la vita unicamente di un italiano e non anche di un suo connazionale?
Il resoconto del Ministro è fine, ma difficilmente verosimile: ci vorrebbe far credere che l’iniziativa di scarcerare i detenuti come contropartita degli ostaggi sia stata presa quale decisione del tutto autonoma da parte del Governo afghano, senza pressione alcuna da parte delle autorità italiane? Cioè D’Alema con un colpo solo vuol farci credere che non solo non abbiamo alcun peso politico da esercitare con diplomatica pressione sul Governo Karzai, ma anche che non abbiamo elemosinato il favore della scarcerazione presso le autorità afgane accampando la scusa delle difficoltà in politica interna.
Insomma, avremmo fatto il massimo con il minimo sforzo, mentre Karzai, che avrebbe accettato il compromesso coi talebani per vedersi sano e salvo un proprio connazionale, se lo è invece ritrovato decapitato.
Accettiamo tale versione ufficiale, anche perché allora si capisce bene l’ostilità del Governo afghano nei confronti di Emergency.
E spieghiamo. Anzi, il Ministro degli Esteri spiega.
Massimo D’Alema riporta, nella sua relazione, che inizialmente furono due i canali aperti per le trattative: un primo canale fu quello aperto grazie alla redazione de la Repubblica, che vantava dei contatti coi sequestratori grazie alla mediazione di non meglio precisati interlocutori (probabilmente giornalisti afghani) di stanza a Kandahar; il secondo canale è quello che fa capo ad Emergency e a Gino Strada che, inizialmente, offre un aiuto generico per risolvere la questione.
Le prime richieste dei sequestratori arrivano al primo dei due canali, ma alla richiesta, da parte delle autorità italiane, di una prova dell’esistenza in vita degli ostaggi, il video-prova viene inspiegabilmente recapitato ad Emergency, ignorando i contatti di Kandahar. Perché?
Si fa largo qui la figura di Rahmatullah Hanefi, responsabile Emergency dell’ospedale di Lashkargah e personaggio chiave per la buona riuscita dell’operazione Mastrogiacomo, attualmente in stato di detenzione nelle prigioni afghane, più volte interrogato dai servizi segreti del suo Paese.
Privo dell’apporto fondamentale di Hanefi, che probabilmente, in qualche modo, tiene i contatti con la guerriglia del sud del Paese, Emergency fa fagotto, nell’impossibilità di operare sul territorio in sicurezza.
Seguendo la ricostruzione del Ministro degli Esteri, appare chiara e legittima la presa di posizione del Governo afghano nei confronti di Emergency, accusata di essere collusa alla guerriglia talebana; qualcuno ha giocato a fregare Karzai, che si è visto recapitare a casa un cadavere senza testa anziché Adjmal vivo e libero, secondo quelli che erano gli accordi presi - sostiene sempre D’Alema - da Gino Strada per conto del Governo italiano.
Allora, chi ha fregato Karzai? Massimo D’Alema o Gino Strada?
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