Versus vs versus

Saturday, May 27, 2006

Alessandria News: arrivano i Templari!

Domenica 28 maggio alle ore 21 presso la sala della Circoscrizone Europista si terrà l'incontro dal titolo: "IL CODICE DA VINCI: dal mistero al fenomeno di massa".

Per ulteriori info Vi rimando a Debates

Thursday, May 25, 2006

Il formaggio che puzza

Mentre a Berlino sparano all’orso, a Cannes c’è chi si adagia sugli allori grazie ad una Palma: basta il nome di Nanni Moretti perché ai critici pigli a sudare la fronte per gli spasmi dell’emozione, e al pubblico perbene vengano i sussulti del cuore, palpiti d’amore intellettualoide per l’immaginario di celluloide del regista italiano. Anche dalle colonne di Le Monde, il prestigioso quotidiano d’Oltralpe, gridano chapeau! per l’ultima pellicola presentata a Cannes da Moretti, il discusso “Il Caimano”. Già il titolo dell’articolo denuncia il coraggio morettiano per aver gettato il cuore oltre l’ostacolo ed aver affrontato petto in fuori un tema che, in effetti, ha portata massima: “Nanni Moretti, esploratore senza pietà dell’anima italiana”. Eccolo, l’intrepido Nanni, chimerica creatura geneticamente modificata, un incrocio tra Indiana Jones, Raffaele Morelli e Don Chisciotte, accompagnato dal fido scudiero Sancho Panza – Silvio Orlando, tutto intento a scandagliarci le coscienze marce, disposto all’occorrenza a vestire i panni del cardinal Borromeo ed assolverci tutti, non prima di averci fatto fare qualche girotondo, tanto per espiare un po’ le nostre colpe.
È grossomodo questo il ritratto che Le Monde fa del cineasta quando l’articolista pretende di sviscerare le intenzioni del film alla luce dei convincimenti poco lusinghieri che i francesi di solito hanno nei nostri confronti, giornalista di Le Monde non escluso, visto che li usa e ne abusa. Secondo il quotidiano francese il film mostra perché l’Italia “produce regolarmente una tossina parente stretta o lontana che sia del fascismo”. Ecco che l’amico(?) italiano Nanni assurge alla dimensione igienico-sanitaria-metafisica: egli è ora un medico senza frontiere che trasforma la sua cinepresa in un microscopio col quale stanare la pericolosa tossina. Rischia la pelle ma è sprezzante del pericolo. Egli si immola per la giusta causa, in redenzione dei nostri peccati per liberarci dal male oscuro. Amen.

Ma non è finita qui.

Il critico francese si addentra nei particolari, fino al guizzo intellettuale naif che fa chic: accosta il protagonista del film (Bruno Bonomo – “excellent Silvio Orlando”) all’ex premier italiano Silvio Berlusconi: “Bonomo e Berlusconi condividono lo stesso difetto: quello della menzogna come arte di vivere al limite della tragicommedia”.

E ancora: “i due personaggi sono un solo e unico uomo; quel millantatore italiano che nulla ama se non scambiare e far scambiare i suoi desideri con la realtà, al punto da non distinguere più”.
E qui si consuma il più annunciato dei matrimoni, quello dello sciovinismo francese col Nanni Moretti sciovinista di se stesso e della torta Sacher, tant’è che l’autore dell’articolo si concede l’ultima chiosa sul film “che ha permesso a Moretti di firmare, a modo suo, il suo Otto e mezzo”. Una svenevole profusione di tenerezze post coito da manuale tantrico.

« Voulez-vous coucher avec moi, ce soir, Nannì? »
« Oui, bien sur, mon cher ! ».

Così, mentre Nanni, tutto coccoloso, fa all’amore col galletto, noi, italiani brava gente, ce ne stiamo qui a respirare tossine, ci cresce il naso più che a Pinocchio, e ci facciamo seghe mentali da mattino a sera prendendo e spacciando lucciole per lanterne.
Cornuti e mazziati.

Chissà.

Chissà se si scomoderebbero ancora onirici paragoni con Federico Fellini se Moretti, forte del suo successo d’Oltralpe cominciasse ad insultare Le Pen e i suoi adepti (e fin qui…passi), attaccare il potere, delegittimare le istituzioni, deridere il Presidente della Repubblica francese e il suo Primo Ministro, bollare come intollerante la legge sul velo, additare come giustizialisti i giudici francesi che hanno spiccato un mandato di cattura per lo pseudo-intellettuale - ma terrorista vero - Cesare Battisti.

Chissà quanto ancora i cugini francesi si spellerebbero le mani alle prime dei suoi film, se Moretti cominciasse a farne macchietta, a deriderli filmando di scandali sentimentali nei palazzi del potere; se ironizzasse sull’igiene personale dei parigini che sfilano in bicicletta con tanto di baguette sotto le ascelle, sui decessi per colesterolo da burro e catrame da sigaretta, su quell’eccessivo sentimento nazionalistico che li porta a disprezzare chi non è illuminato come loro, dimentichi di come, quando ancora il lume della libertà e dell’uguaglianza non era acceso, sarebbero stati disposti a vendersi il fratello assieme alla propria dignità per una brioche.

Allora: italiani uguale spaghetti, pollo insalatina e una tazzina di caffè; mandolino, pizza, mafia, spumante sgasato e adesso, anche se purgati da Nanni Moretti coi suoi film all’olio di ricino, fascisti! Sì, fascisti dentro!

I francesi ci vogliono così: sarà che è dai tempi di Bartali “che le palle ancor gli girano”.

Va bene.

Perlomeno, noi non abbiamo quel formaggio che puzza.

Per l’articolo di Le Monde clicca qui

Tuesday, May 23, 2006

Polvere di stelle


Dal 1997 la società statunitense Space Service, per un onorario che va dai 1000 ai 5300 euro, organizza funerali…galattici. Insomma, un campione di ceneri del caro estinto viene spedito in orbita, fluttua senza motivo per sei anni dopodiché ricade sulla Terra con la sua capsula, che al contatto con l’atmosfera si disintegra ovviamente. Mettendo per un attimo da parte l’idea fastidiosa che un giorno le ceneri di un qualche zio Sam dipartito prematuramente per i troppi hamburger ingurgitati ci piovano addosso, è interessante l’immagine di queste ceneri che vagano nello Spazio alla ricerca di Dio, tra buchi neri e satelliti per le telecomunicazioni. La paura della morte è tanta che non ci si rassegna neanche quando incombe: quando è ora di lasciare le vanità terrene, ne troviamo di ultraterrene, non nella fede ma nella tecnologia e nuovamente nella vanità umana, e neanche da morti c’è pace per la nostra disperata ricerca di senso. Non è facile accettare tout-court una visione religiosa della vita che prometta una beatitudine ultraterrena di cui non abbiamo prova, ma addirittura insensato è questo tentativo da morti di succhiare ancora la vita, magari attaccati alle mammelle della Via Lattea. L’insoddisfazione così connaturata all’uomo si esprime in una tensione alla quale non si vuole mettere fine neppure quando è giunta l’ora di farlo; una tensione che travalica la mondanità ma che è pensata con le strette categorie della mondanità stessa.
Se polvere siamo e polvere ritorneremo, che sia almeno polvere di stelle.

Monday, May 22, 2006

La capretta, il capro (espiatorio) e le capre (che li guardano)

La capretta in questione è un lui, rosso malpelo: il suo habitat è il salotto televisivo, dove con disinvoltura eccessiva trasloca di poltrona in poltrona, pubblica o privata, pomeridiana o serale che sia. Ormai parte integrante della fauna televisiva, da osservatore speciale di Case, Isole e Fattorie si è tramutato, a sua insaputa (forse…) e suo malgrado, ad osservato, mimetizzato e ben a suo agio nel sottobosco catodico. Dall’alto della sua saccenteria boriosa preconizza, giudica e sentenzia. Dategli un ex inquilino, un ex contadino, un ex naufrago: come la lentezza del boia (il serpente, non il carnefice) e il sadismo degli animatori turistici che intrattengono mariti cornuti, saprà digerire e farci digerire la nullità culturale, la piatta e scialba personalità, il vuoto più assoluto delle menti di questi morti di fama. Sennonché un po’ morto di fama lo è anche lui; la capretta, in barba ai buoni propositivi educativi che intende propinarci per affinarci al suo gusto estetico-televisivo, ostenta un’arroganza che non a pari nemmeno collo Sgarbi dei tempi che furono: ma, mentre quel Vittorio discettava di arte dando (giustamente) delle capre a molti di noi, questa capra filosofeggia di nulla sul nulla; si riempie la bocca di qualche vocabolo un po’ ricercato, studia a memoria qualche citazione che fa chic, insulta un po’ il malcapitato di turno e si bea della propria intelligenza quando qualcuno gliele fa notare, con lo stesso adombrato e narcisistico compiacimento che hanno le donne quando qualcuno si gira a guardare loro il fondoschiena. La differenza sostanziale è che lui, probabilmente, sculetta con meno eleganza, ma non con meno eleganza sa proporsi all’avversario dialettico: entra in punta di fioretto per poi partire coi fendenti; non punta mai dritto al cuore: ti lascia sgocciolare un po’ e poi ti infilza, tu sei matato, lui è il matador, il castigatore folle dei morti di fama, quelli che, presi alla sprovvista, hanno lasciato a casa non solo grammatica e sintassi, ma anche il cervello (ammesso che ne abbiano uno). Ci vuole fegato ad affrontare questi soggetti. Ce ne vuole ancor di più a farsi beffe di loro senza un minimo di misericordia. Ce ne vuole tantissimo a reputarsi intelligenti e bravi perché si è in grado di farlo.

Tuesday, May 16, 2006

Vorrei essere interista

Il mio mondo. “Da stasera il mondo del calcio non è più il mio mondo”. Meno male, viene da dire. Il cosiddetto sistema Moggi è il più grande scandalo calcistico che la storia internazionale ricordi. Il tempo, ma soprattutto la fretta, nonché gli interessi in gioco, tenderanno a ridimensionare tutto, ma, senza esagerare, è palese che è venuta a galla una situazione talmente surreale da diventare normale prassi per gli addetti ai lavori. Per chi ci stava dentro, probabilmente non si poneva nessun illecito tanto ormai il meccanismo era rodato, figuriamoci se si andava a porre una questione morale.
Il fulcro di tutto non era il denaro: da nessuna intercettazione di quelle rese disponibili si evince corruzione a suon di quattrini. La posta in gioco era qualcosa di più affascinante: il potere.
Il re nudo che piange e balbetta sta lì a dimostrarlo: ha perso il suo mondo, mica il suo denaro.

I topi scappano. Mai così tanti addetti ai lavori si sono dichiarati antijuventini come in questo periodo; chi leccava e chiedeva favori e consigli ieri è il voltagabbana di oggi. Allo stato delle cose, non è il caso di inneggiare alla Triade (anzi, forse la società bianconera, azionisti e tifosi dovrebbero persino chiederle i danni) ma ci vuole anche un minimo di decenza da parte di chi fino a ieri era asservito a questo dispotico potere. Il silenzio in questi casi si rivela il miglior segnale di intelligenza che si possa dare. Commentatori sportivi e moviolisti potrebbero almeno provarci, anziché lanciarsi in disperate, inutili e fantozziane arringhe di autodifesa (mai richieste peraltro, per quel che ci importa di loro).

Chiedono la distanza. Come la migliore delle barriere in area. Sono dirigenti e presidenti di società di calcio che imperversano a frotte sugli schermi televisivi in questi giorni. Prima piangevano miseria presso Big Luciano, tentavano di entrare nel mondo sporco, si vendevano l’anima al Mefistofele bianconero e ai suoi sgherri, adesso denunciano quello che era un calcio avvelenato: inguardabili nella loro ipocrisia e miseria, umana e professionale.
Se facciamo parlare di giustizia anche chi, valigetta di contanti alla mano, si comprava le partite, allora significa che sguazzare nel fango ci piace, e tanto.

I giustizialisti. Se potessero, appenderebbero tutti a testa in giù in piazzale Loreto. Alla maggior parte di loro, del calcio non gliene importa assolutamente niente, ma credono di essere una sorta di supereroi della moralità, i Batman dell’etica che venderebbero la propria madre per indossare una toga, mozzare teste ed esporre gli scalpi dei più furbi sopra il caminetto del salotto buono.

I love this game. Nonostante tutto ci piace e non possiamo farne a meno. Ci emoziona, ci distrae dalla dura realtà quotidiana, ci diverte. Perlomeno l’italica ironia ha saputo sfogarsi brillantemente. La genuinità del tifo ha saputo prendersi la sua bella rivincita su questi signorotti del pallone che volevano levarci il sorriso. I mondiali di Germania così vicini non cancelleranno quanto successo, ma non lesineremo certo la nostra attenzione e il nostro tifo. Fa parte di noi: come la mamma, la pizza, il mandolino e la mafia (è proprio il caso di dirlo…).

L’uomo nero. Se ne parla da un po’. Le indagini andavano avanti da un bel pezzo, ma perché il patatrac proprio ora? Si vocifera di una gola profonda che ha dato la mazzata finale in gran segreto al mondo del calcio. Forse Moratti, stufo di vedere la sua Inter perdere davanti a questi intrallazzoni? Forse Gaucci, dal suo dorato esilio? Oppure Gazzoni, umiliato assieme al suo Bologna? Ad ogni modo, sul nome dell’uomo nero, pare che Buffon accetti scommesse…


Vorrei essere interista. Perché in questi anni, la squadra mi avrebbe fatto fare figure di merda, ma almeno adesso non toccherebbe anche a me spalare.

Monday, May 15, 2006

Sei personaggi in cerca di poltrone

Il leader dell’Unione Romano Prodi ha affermato che comporre la squadra di governo è come scrivere un romanzo d’amore. Vediamone allora almeno i personaggi principali.

Massimo D’Alema e Francesco Rutelli: della serie una poltrona per due. Saranno o non saranno i due vice di Prodi? Sembra fermo il veto di D’Alema sulla possibilità di due vice premier: ma già che ha fatto trenta, magari farà trentuno con l’ennesima concessione. Intanto ciò che sembra sicuro è la Farnesina per D’Alema e il Ministero dei Beni Culturali per Rutelli: chi meglio di questo Alberto Sordi del terzo millennio a rappresentare le bellezze nostrane? Sarebbe capace di sedurre una turista tedesca con un coccio di fiaschetta di Trastevere. Promossi.

Clemente Mastella e Emma Bonino: della serie una poltrona per due…un film già visto, come sopra. Massimo rispetto per i veterani della politica, ma Mastella sembra veramente un bambino che vuole la famosa 1 sorpresa su 5 Kinder ad ogni costo; se non gliela danno, o perlomeno non gliela promettono, suda e pesta i piedi come i mocciosi di 4 anni. Se passa la Bonino alla Difesa, sarà costretta ad accarezzare con amore materno la testolina del povero Clemente. Sulla Bonino, niente da ridire, è una donna con gli attributi; proprio per questo, se Prodi intende spacciarcela come quota rosa, si sbaglia di grosso. Bocciati.

Antonio Di Pietro: i giornali scrivono di lui come del prossimo Ministro della Comunicazione. Qualcuno spieghi ai direttori di testata che è ora di tenere separata la satira dalla politica…

Infine, Daniele Capezzone: sì, è vero, lui non è previsto nella lista dei Ministri, ma un posticino ci sarebbe, se solo ci fosse la volontà.
Ministro dei Rapporti col Vaticano: non sarebbe una poltrona facile, ma forse lo aiuterebbe a levarsi dalla faccia quell’aria da talebano insofferente e intollerante. Capezzone, se quel che dice il Papa non ti piace, tollera, prova a fare quel che facciamo noi quando tu appari in televisione: togli l’audio.

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Friday, May 12, 2006

Tiran più che un carro trainato da buoi

Finalmente.
Finalmente qualcuno ci è arrivato, ha capito.
E non sorprende più di tanto che sia stato lui, Hugh Hefner, il fondatore del celeberrimo Playboy, il magazine delle conigliette che da un mese circa è sbarcato in Indonesia, provocando i soliti tumulti di piazza da parte degli integralisti islamici, ma aprendo la strada alla miglior soluzione che l’Occidente abbia mai avuto in mano nell’intento di esportare la democrazia nei Paesi Islamici integralisti: altro che bombe! L’arma più potente è il sesso: libero, spinto, disinibito, illustrato, raffigurato, video, a pagamento, romanzato, in quantità industriali.
Quale presa avrebbero più gli imam di fronte ad una rivoluzione di simile portata per gli uomini di fede musulmana? È paradossale, ma quando gli imam proibiscono tutto e la vita comincia a fare un po’ schifo, cosa c’è di meglio che aggrapparsi ai corrotti valori occidentali per avere un po’ di respiro?
Perché darsi al martirio per 72 vergini quando il lussurioso paradiso lo si trova anche qui, in un qualunque bordello, e magari a poco prezzo tenendosi cara la vita?
Il valore della democrazia non passa attraverso le imposizioni e la violenza, ma attraverso la forza della consuetudine che si ha con essa e con la libertà e con l’eccesso di quest’ultima anche. Sono le abitudini e gli stili di vita che da anni pratichiamo ad aver contribuito alla maturazione dei processi democratici. Una certa forma mentis basata sulle idee di progresso, riconoscimento delle libertà altrui e proprie, riconoscimento del valore dell’individualità, ha fatto sì che potessimo considerare non più come tabù certe tematiche.Non sarà certo Playboy, né tantomeno l’intera pornografia del pianeta ad esportare democrazia nei regimi islamici; qualche patinata donna nuda però, può aiutare a prendere coscienza del fatto che il sogno di 72 vergini tutte per sé ha meno corpo delle pin-up di Hefner, e che le leggi coraniche si possono aggirare ad un prezzo meno esoso di quello da versare ad Allah.

Thursday, May 11, 2006

La poltrona sul Colle che scotta

Eleggere Giorgio Napolitano a capo delle Stato è stato come eleggervi Massimo D’Alema (un Ds doveva essere e un Ds è stato) con un paio di differenze però non di poco conto.
Giorgio Napolitano non ha con Silvio Berlusconi quel rapporto, per dir così, complice che c’è fra il presidente dei Ds e quello di Forza Italia, un sodalizio occulto nato ai tempi della Bicamerale che avrebbe tagliato fuori dai giochi gli alleati del Cavaliere, Fini e Casini, che non per niente infatti avrebbero votato Napolitano ma hanno preferito scheda bianca, scelta fatta non solo per adeguarsi alla linea intransigente di Forza Italia e Lega, ma soprattutto perché tra poco ci sono le elezioni amministrative: si può chiedere agli italiani di non votare centrosinistra e poi contribuire a far eleggere un post-comunista Presidente della Repubblica? Scheda bianca è stato il segnale della larga convergenza sul nome del senatore a vita, senza però perderci la faccia. Scheda bianca da parte del centrosinistra alle prime tre votazioni non è stato invece un modo per sondare le intenzioni dell’avversario politico, né un modo di non bruciare il candidato; era uno spiraglio ben ampio aperto a Massimo D’Alema. Se nel centrodestra non si fossero risolti per Napolitano, sarebbe stato imposto, con ogni probabilità, il presidente dei Ds: sono stati i “traditori” dell’Udc e le aperture benevole di An ad impedirlo.
La seconda differenza è che, al nome di D’Alema, qualcuno storceva il naso anche in casa dell’Unione: poca convinzione da parte dei centristi della Margherita e dai laicisti della Rosa nel Pugno (una strana accoppiata contro D’Alema…): il paradosso sta nel fatto che se D’Alema si fosse candidato, alla quarta votazione avremmo forse visto un consenso numerico più trasversale rispetto a quello (numerico) ottenuto da Giorgio Napolitano, votato in definitiva solo dai suoi. Chissà.
Giorgio Napolitano è l’undicesimo Presidente della Repubblica italiana; ricoprendo un incarico così, superpartes lo si diventa anche se non lo si è; il Presidente si ritroverà di fronte ad una situazione instabile, tesa, che si farà a tratti critica, e la speranza è che il suo lungo corso politico e la sua coerenza e onestà intellettuale gli permettano di gestire al meglio il suo settennato. La speranza è che si confermi come l’uomo che sa leggere i cambiamenti, poiché non saranno pochi in questa legislatura, ed anzi, sono già iniziati. Proprio a partire dalla sua elezione.

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Friday, May 05, 2006

Giacchette su misura

La Vecchia Signora stavolta è nuda, e persino i suoi tifosi arrossiscono per la vergogna.
La cosa più esilarante e tremenda insieme, per chi non è tifoso bianconero, è che la realtà supera di gran lunga le maldicenze che ogni buon antigobbo che si rispetti era solito riversare sulla losca triade. In fondo ci si è sempre limitati a dire che Moggi ha un atteggiamento vagamente mafioso, pensando più che altro ad una specie di don Vito Corleone del calcio italiano e quindi ad una figura consacrata a mito, pur nella sua immoralità. Le intercettazioni telefoniche messe a disposizione dell’opinione pubblica invece ci consegnano un Moggi meschino, che ha un linguaggio più simile a quello da bulletto di periferia stile Ricucci: il furbetto del Delle Alpi. Non si merita nemmeno l’appellativo di furbetto di Villar Perosa: altro che stile Juve! Promettere auto di lusso e orologi del valore di svariati milioni del vecchio conio; dare direttive ai moviolisti, e infine impartire ordini all’ex designatore arbitrale Pairetto che esegue scrupolosamente.
È pur vero che non si parla mai di partite del campionato italiano ma di amichevoli e incontri di Champions League, ma se quelle intercettazioni sono vere, non si può chiamare in causa nemmeno l’eventuale tono con cui la discussione telefonica si è svolta: c’è un dirigente di una società di calcio che indica ad un designatore che arbitri assegnare e a quali partite, con il riscontro oggettivo che quegli arbitri hanno poi effettivamente arbitrato gli incontri indicati. Poco importa che tipo di incontri fossero e, se questa indebita ingerenza non configura un reato penale, mi chiedo se non ci sia qualcosa che non quadra nel codice penale italiano riguardo agli illeciti sportivi.
La cosa triste è quanta deferenza è riservata ad un personaggio così infimo e l’arroganza con la quale il secondo membro della triade, Giraudo, ha affrontato oggi la conferenza stampa: è vero che non siamo di fronte a nessuna sentenza di colpevolezza e che per ora non si configura alcun reato penale, ma di fronte all’evidenza dell’immoralità non si può avere almeno il pudore di stare zitti?
E perché sta invece zitto chi potrebbe parlare? Perché nessuna società di serie A si è esposta e ha detto la sua? Timore, o quella di Moggi è una pratica di tutti? Sembra quasi che sia interesse di tutti insabbiare la cosa al più presto, a dispetto dei proclami di Carraro.
La cosa peggiore quindi, è che probabilmente non verrà fatta sufficiente chiarezza; se così sarà, nessun tifoso juventino potrà godere senza sospetto di una vittoria ottenuta sul campo, così come ogni tifoso avversario potrà avere più di un legittimo sospetto…in fondo è cambiato poco rispetto a prima.

Thursday, May 04, 2006

L'utente da lei chiamato...

Una telefonata e un incontro. È certamente un segnale distensivo alla ricerca di un accordo la telefonata di Romano Prodi a Silvio Berlusconi e il successivo incontro fra i due sulla spinosa questione del successore di Ciampi al Quirinale.
D’altro canto però, si configura come un segnale di debolezza da parte del leader dell’Unione che, pressato dai Ds, appare incerto sul da farsi e medita su quali sarebbero le conseguenze nel lasciare via libera a Massimo D’Alema verso il Colle.
In un Paese diviso così nettamente diviso e con una maggioranza di governo che rischia di andare sotto ad ogni votazione al Senato, un’intesa sul nome del nuovo Presidente della Repubblica appare più che necessaria, ma a farne le spese potrebbe essere proprio la leadership di Prodi, già di per sé poco carismatica anche all’interno della propria coalizione, a dispetto dei proclami degli alleati di governo.
La candidatura di D’Alema al Colle, da un lato, accontentando il maggior partito del centrosinistra, darebbe fiato a Prodi, che in questi giorni è alle prese con il valzer delle poltrone di governo; d’altro canto insospettisce non poco il cosiddetto fronte dei “dalemiani” che si è aperto nel centrodestra: il sospetto è che quest’ultimo si sia così espresso nella speranza di una prossima crisi di governo che ci riporti alle urne, congiunta ad una conferma da parte degli italiani della riforma della Costituzione, che di fatto, se le cose andassero così, andrebbe a limitare di molto il peso politico del presidente dei Ds, da sempre considerato a destra il vero regista occulto delle strategie degli avversari politici.
Ad ogni modo, ciò che realmente complica le cose al leader dell’Unione è che questo era forse l’unico gesto possibile da concretizzare, e l’impressione è che, nonostante siano già molti i grattacapi di un governo non ancora formato e insidiato con i quali Prodi deve fare i conti, il nuovo Presidente del Consiglio avrà a che fare spesso con scelte pressoché obbligate.
E non sempre potranno rivelarsi quelle vincenti.

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Monday, May 01, 2006

Dio ci liberi da Capezzone

Da un paio d’anni a questa parte l’opinione pubblica si è concentrata su una gran quantità di temi morali: bioetica, coppie di fatto, relativismo e via dicendo.
In una democrazia dove tutti hanno, di diritto, voce in capitolo, non si comprende mica tanto bene quella ferrea intransigenza nei confronti della Chiesa da parte di coloro che si definiscono laicisti (deleteri come quasi tutti gli –ismi e gli –isti). Innanzitutto perché la fronda più numerosa di questi laicisti è la stessa (leggi: i Radicali) che da anni fa importanti battaglie per il riconoscimento di diritti civili il più delle volte inalienabili, come il diritto d’espressione, appunto; secondariamente perché non si capisce per quale gravo motivo alla Chiesa andrebbe negato un diritto sacrosanto (appunto…) e a che titolo e a nome di chi il laicista si fa censore pubblico.
Si accusa la Chiesa di ingerenza; un reato grave che tuttavia non trova riscontro nei fatti della politica italiana: se così fosse non avremmo leggi che regolano materie delicate in assoluta distonia con le dottrine morali e sociali espresse dalla Chiesa nei suoi documenti ufficiali.
Inoltre, i laicisti in più di un’occasione hanno usato due pesi e due misure: la Chiesa Cattolica deve, in base a non si sa quale giustificazione, stare zitta e rispettare la laicità dello Stato; quando invece a sentirsi indignato per la pubblicazione di alcune vignette satiriche è l’Islam, allora più di un laicista si pronuncia a favore del rispetto di ogni confessione religiosa a discapito del laicissimo diritto alla libertà di stampa. Due pesi e due misure; ma, se si deve avere rispetto di ogni confessione religiosa, delegittimare gli interventi di un esponente cattolico su temi di rilevanza morale è sinonimo di rispetto? A noi non sembra.
La battaglia politica della Rosa nel Pugno scatenata durante l’ultima campagna elettorale (battaglia peraltro perduta, stando ai numeri percentuale) sembra più una rancorosa ripicca per il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita, il cui risultato diede ragione alle posizioni espresse dalla Chiesa.
Questa paventata capacità della Chiesa di plasmare le coscienze fece sembrare gli italiani burattini nelle mani di MangiaFuoco Ruini. E invece, furono Capezzone&Co. a farci la figura di Pinocchio, con i mass-media a strizzar loro l’occhietto, come il Gatto e la Volpe.
Sarebbe auspicabile che ciascuno di noi fosse il proprio Grillo Parlante e ascoltasse così la voce della propria coscienza; ma se poi anche uno ha una coscienza cristiana, Capezzone, che male c’è?Qualcuno spieghi a Capezzone che in Italia ci sono tante persone di fede cattolica: e se poi qualcuna di queste si è astenuta dall’andare a votare al referendum sulla fecondazione assistita su indicazione del cardinal Ruini, di certo ha fatto meglio di chi è andato a votare sì convinto dalle tette della Ferilli.

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