Versus vs versus

Tuesday, November 27, 2007

Le variabili veltroniane

La ri-discesa in campo di Berlusconi ha avuto il merito di rendere chiaro e distinto a tutti che Romano Prodi e il suo governo sono stati sorpassati a sinistra e al centro, di sopra e di sotto. Non si spiegherebbe altrimenti perché, anziché suonare il campanello bolognese del Presidente del Consiglio italiano per parlare di riforme istituzionali e legge elettorale, i leader dei partiti che compongono la Casa delle Libertà che fu preferiscano fare la fila presso la tenda di Walter Veltroni, capo di due partiti che non ci sono più e segretario di un partito che ancora non c’è. Romano Prodi, circondato da una Corte dei Miracoli che può mandarlo a casa da un momento all’altro, Miracolato lo è: il leader del partito che ancora non c’è non ha nessuna intenzione di mandarlo a casa perché non ne trarrebbe nessuna convenienza. Prodi il miracolato deve ringraziare san Silvio da Arcore: gli ha fatto la grazia. Perché se il Cavaliere non avesse fatto la mossa di San Babila, Walter il buono avrebbe liquidato il Miracolato levandogli pure il TFR. Tuttavia, ora come ora, il Buono non può permettersi di concedere al Cavaliere il favore degli umori della folla: se si andasse a votare adesso, il risentimento nei confronti dell’attuale governo, annesso all’euforia per il nuovo (?!) Partito del Popolo (o qualsiasi altro nome rivendichi a sé Forza Italia), castrerebbe il PD seduta stante, trasformando l’astro nascente (Walter il Buono) in stella cadente. Chiarito che Veltroni non ci sta né ci starà a fare il gioco del Cavaliere (che non per niente tra le due condizioni per il dialogo chiama al voto subito), i giochi (salvo che qualcuno della Corte dei Miracoli non scarichi all’improvviso Prodi il Miracolato) sono rimandati alla scadenza di legislatura, o quantomeno più in là possibile col tempo. Più in là laddove davvero potrebbe aprirsi quella nuova stagione di cui Veltroni parla e straparla da quattro stagioni consecutive: chiarito che, quando sarà, Berlusconi non potrà più rivendicare a sé quella leadership che finora si è legittimata (o auto-legittimata?) a suon di sondaggi e populismi, facendo ricorso a quella che si definisce la volontà diretta del popolo (che è sovrano), Berlusconi non potrà esercitare più alcun tipo di egemonia sulla coalizione di centrodestra che, seppure in forme probabilmente assai differenti da quelle che finora conosciamo, ci sarà e non potrà non esserci. A rendere impossibile al Cavaliere la strategia che finora lo ha legittimato e che egli stesso ha utilizzato come suo cavallo di battaglia (e che è stato al contempo il cavallo di Troia dell’antipolitica nella politica) sarà quella stessa legge elettorale proporzionale senza vincoli di coalizione che fra pochi giorni andrà a discutere al tavolo con Veltroni. Suicido politico o qualcosa rimane nell’oscurità? Alla mossa di San Babila e agli sviluppi degli ultimi giorni si può riconoscere razionalità, intelligenza, lucidità e logica sulla base di uno e un solo presupposto: che Berlusconi abbia l’idea di lasciare a breve Forza Italia e di aver già designato il proprio erede. Che tutto abbia preso le mosse da Milano non è un caso; che i movimenti, i circoli che da qualche tempo tentano di dare nuova linfa a Forza Italia rappresentino (o tentino di rappresentare) quella che vuole (o vorrebbe) essere (o si definisce tale) la parte più dinamica del Paese, che incarna un modello sociale, civile, morale, ben delineato, non è un caso. Se si vuole scavare nel fondo di un partito che spesso è stato definito di plastica, fra le poche personalità di contenuto e spessore politico che Forza Italia ha accudito in questi anni, non si può non pensare al governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Si potrebbe obiettare che non ha l’impatto mediatico di Berlusconi, che oramai è, come si direbbe per gli attori, schiavo del proprio personaggio e potrebbe risultare antipatico a quegli italiani (e sono la maggior parte) che non sono la Lombardia. Ma è anche vero che nell’era dell’informazione pervasiva e persuasiva, i media fanno miracoli: all’inizio dell’anno Veltroni inaugurava piazze e vie e presenziava a sagre della porchetta, oggi è leader di un partito che non c’è. Tra non molto la stessa sorte potrebbe toccare al governatore lombardo. Forza Formigoni: mal comune mezzo gaudio.


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Sunday, November 18, 2007

In nome del Popolo

Ventiquattr’ore fa era il Pugile Suonato dalla mancata spallata. Ieri da piazza San Babila a Milano ha danzato come una farfalla e punto velenoso più di un’ape i suoi alleati prima ancora che i suoi avversari. Può piacere o non piacere Silvio Berlusconi, ma non se ne può mettere in discussione l’intelligenza, l’istinto, la creatività da coup de théatre quale ha messo ieri in campo per l’ennesima volta. L’idea del Partito del Popolo, forte di (presunte) 7 milioni di firme è la mossa giusta al momento giusto, e soprattutto rimette lui come uomo giusto, segno di una Provvidenza che lui stesso contribuisce a disegnare. Lui, che pareva essere stato messo all’angolo dagli aut aut di Fini e dalle mosse di Casini, ha messo gli alleati alle corde: l’UDC da sola ci ha provato ma non va da nessuna parte, AN si è smarcata troppo tardi dal Vate di Arcore e ha perso per strada pezzi importanti che ora hanno la bava alla bocca soprattutto perché rischiano di rimanere senz’osso; a Palazzo Congressi all’Eur Berlusconi ha battezzato La Destra, e al contempo gli ha dato l’estrema unzione, non senza negarsi l’occasione di indebolire il partito di Fini e la sua leadership finora mai messa in discussione dai colonnelli che anzi, sembrano in queste ore fare quadrato attorno al proprio presidente. Notevole poi la mossa di sciogliere Forza Italia e battezzare il Partito del Popolo proprio a Milano: è uno schiaffo al romanocentrismo del PD di Walter Veltroni, l’avviso di uno scontro diretto senza esclusione di colpi; gli spiragli al dialogo sono politically correct d’etichetta, nel Dna del Cavaliere c’è la sfida, l’idea quasi darwiniana che la propria affermazione passi per l’annientamento dell’avversario. Inoltre, porsi a fondatore e leader del nuovo soggetto politico speculare al PD, taglia i contatti di Fini e Casini con Veltroni che sarà costretto a riconoscere Berlusconi come suo diretto interlocutore, mentre i leader di UDC e AN altro non possono che tornarsene all’ombra del Cavaliere, costretti a sparire per non perire. La mossa di San Babila distrae poi dagli errori che in questi ultimi mesi hanno caratterizzato la strategia berlusconiana: le critiche di Casini prima e soprattutto quelle di Fini, ancorché tardive, non sono del tutto infondate, anzi. Insomma, con destrezza il Cavaliere ha tirato fuori dal cilindro il piano B e con sapiente arte illusionistica è riuscito a farlo credere piano A: “Chissà da quanto la preparava la mossa” si staranno chiedendo i parrucconi di tutti i partiti. Però. Però il colpo di mano berlusconiana si fonda su un presupposto, probabile, ma non scontato, e cioè che gli alleati per l’ennesima volta si adeguino e confluiscano placidi nel nuovo soggetto politico. Dato per scontato che la Lega non ci sarà (se coerente ai propri principi e alla cultura politica che ha fin qui coltivato) e che il peso de La Destra è del tutto ininfluente , UDC e AN potrebbero andare ciascuno per la propria strada: l’operazione berlusconiana abortirebbe passando da innovativa sul piano dei contenuti (sebbene questo sia tutto da vedere) a puro restyling forzaitaliota che si ritroverebbe il problema numerico; qualunque apporto possano dare la Brambilla e Dell’Utri coi propri movimenti, appare comunque difficile che Forza Italia (pardon, il Partito del Popolo) possa avere i numeri per governare da solo. È lo stesso problema che si ritrovano nel PD. Avranno UDC e AN il coraggio di dire no? La loro scelta non sarà di poco conto perché può davvero delineare il futuro della politica italiana inteso come idea che della politica vogliamo avere: una politica dell’immagine perlopiù priva di sostanza e contenuti, fatta di slogan che si combattono a botte di ONI (Berlusconi – Veltroni), o una politica dove i partiti ritornino protagonisti nel ruolo di aggregatori di idee e promotori di cultura politica, centri di elaborazione di pensiero civico e impegnato? Qualcuno trovi il coraggio di dire no ai macchinisti di un viaggio che conviene solo a loro, non certo al Paese che da troppo è carrozza morta trascinata da locomotive impazzite che spacciano le proprie voglie bambinesche per volontà popolari adulte. Perchè se anche è vero che il problema sono i parrucconi della politica, non è detto che la soluzione migliore stia in un parrucchino.


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Wednesday, November 14, 2007

Sotto il segno della Bilancia


«Non fai un c...», condannato il capoufficio: la Cassazione conferma la condanna ad un superiore che si era rivolto in malo modo ad un suo sottoposto.

Possibile che in Cassazione c’hanno proprio un c…o da fare?!


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Monday, November 12, 2007

Voglio trovare un senso

Più di due mesi senza una riga sono tanti. Ma sono anche dettati dalla presa forte di coscienza che rimane ben poco senso e molta poca ragione in ciò che quotidianamente è accaduto in questi due mesi e più. In un mondo dove vige il non senso di ciò che si fa e si dice, mi ci voleva l’assurdità di una tragedia a farmi provare ancora un fremito, qualcosa che mi riportasse qui dove avevo lasciato. Ci voleva la morte insensata di un giovane dj della Capitale per ritrovare il filo di un senso che sembriamo aver smarrito un po’ tutti, persi come siamo tra la ricerca e la fruizione di un forzato sensazionalismo da prima pagina, in balia di telepredicatori competenti solo della propria boria, sconfitti come sono dalla narcisistica voglia di aver ragione delle proprie cazzate e fieri di renderne edotta la popolazione catodica ebete. Sarebbe stata l’occasione di trattare un episodio per ciò che è stato: una tragedia all’autogrill, dettata forse dal caso, forse da un chissà perché facile grilletto. Stop. Non si aveva da aggiungere altro se non retoricamente rammentare come la giustizia avrebbe fatto il suo corso. E invece no. Ritornare ossessivi e morbosi sull’episodio, collegarlo strettamente al calcio, al tifo, al celerino bastardo. Non è solo colpa dei media certo, ma chi nel mondo dell’informazione fa la vergine, è di certo più senza vergogna di una qualsiasi battona di strada.
Il tragico episodio al mattino presto: alle 12 sono ancora in pochi a sapere, poi i telegiornali: i tifosi entrano in fibrillazione e sono le prime avvisaglie dello scontro. FIGC e Governo in primis sono ai soliti problemi, fin da quando la notizia raggiunge il Ministero degli Interni e poi il premier: ce la facciamo addosso o ci mettiamo su un Pampers? Si gioca, ma con la cacca fino al collo: a Bergamo qualche carica fuori dallo stadio e il Siulp che impreca in TV “Quello stadio non è a norma e noi lo avevamo detto”; a Milano interisti e laziali girano indisturbati in scene da “tutta mia la città”; a Roma i pronipoti di Nerone danno fuoco al CONI. E si diffondono stamane i rumors, in piccoli ambienti giornalistici locali, per i quali ieri, nel tardo pomeriggio, a bordo di un treno che riportava alcuni ultrà a casa, scoppia una bomba carta. Passeggeri scioccati e scossi. Il capotreno ferma alla prima stazione, chiede l’intervento delle forze dell’ordine e si sente rispondere picche. “Quel treno deve tornare a casa” gli viene intimato al telefono da alti funzionari. La notizia non trova alcun riscontro è vero, anzi, sarà sicuramente opera di qualche burlone, ma sconcerta quanto nella sua falsità sia tragicamente verosimile: è la fiction di una realtà in cui lo Stato si è arreso ieri alla follia della folla. Non per caso oggi il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ha dichiarato: «Negli anni di piombo non si sarebbero neanche sognati di assaltare caserme dei carabinieri o della polizia. Se gli autonomi lo avessero fatto, noi avremmo sparato subito e la seconda volta non ci avrebbero riprovato». Ed è facile oggi parlare di tifosi e chiamarli terroristi, quando ieri abbiamo permesso che scorrazzassero liberi come buoni vitellini da latte. Se davvero dal Vicinale il segnale chiaro è stato quello di non agire, agli Interni debbono ringraziare il cielo che la rabbia ottenebra il raziocinio: cosa sarebbe successo se i facinorosi si fossero accorti che gli ordini erano quelli di stare ai propri posti, di non intervenire? Non sapremo mai chiaramente cosa sia successo in un dannato Sunday Bloody Sunday di metà novembre, ma la sensazione è che si sia rischiato ben più di quello che si poteva rischiare: ciò non costituisce accusa alcuna ad alcun governo od istituzione, ma la riprova che non è più possibile trattare il calcio per quello che era (uno sport) e che ora non è più, trasformatosi nella valvola di sfogo delle curve che sono evidentemente preda di masse violente più o meno estese composte di derelitti e frustrati che trovano nella caccia al poliziotto la massima autorealizzazione possibile, sconfitti come sono dalle loro stesse vite, inutili persino alla guerra che loro stessi fomentano di partita in partita: questi soldati della domenica non chiedono giustizia ma cercano una vendetta da videogioco, misconoscendo così il riconoscimento del valore di quello che chiamano un “loro caduto” per prenderlo invece a pretesto strumentale del triviale bisogno istintivo di un nemico che può pungolargli solo l’ombelico, ma non riesce nemmeno a solleticare loro la coscienza.


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