Versus vs versus

Monday, February 19, 2007

I copioni

Ogni anno, in Italia, corsi universitari, master, scuole specializzate private e quant'altro, sfornano centinaia, forse migliaia di giovani sceneggiatori e autori televisivi; nel migliore dei casi, si ritrovano a riadattare format stranieri per la TV di casa nostra, nel peggiore, si mettono a testa china, e la loro striminzita fantasia partorisce le peggiori scopiazzature che si possano immaginare.
Sarà che va di moda il medical drama, sarà che il Ministero della Sanità ha supplicato qualche capoccia in Rai di dare lustro alla professione medica italiana (che ultimamente fa più morti di quante ne facciano le nostre vetuste mine antiuomo disseminate ai quattro angoli del globo), a breve sul piccolo schermo di mamma Rai potremo godere del serial Medicina Generale:












Passi la pedissequa imitazione di uno dei più belli e longevi serial della Tv americana.

Passi quell'intenso intreccio di melò e pecoreccio che è chiave caratteristica di ogni prodotto televisivo made in Italy che si rispetti.
Ma, cavolo, uno sforzo creativo almeno per la grafica no eh?!

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Saturday, February 17, 2007

Frutti fuori stagione

Il segretario della Cgil, Gugliemo Epifani, a proposito del caso nuove Br, ha dichiarato: "Sapremo separare le mele marce".

Ma, allora è vero che cadono tutte dallo stesso albero?!

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Wednesday, February 14, 2007

Perizomi di classe e paccheri di mamma

Se c’è un periodo della propria vita al quale si ripensa con nostalgia, nove volte su dieci è il tempo della scuola: la tenera età dei pastelli a cera, i primi rossori timidi delle scuole medie, le seghe* delle superiori (maliziosi: nel gergo dei ggiovani, quelli con due g ovvio, è l’equivalente del letterario e obsoleto “marinare”…).

Ma oggi la squola, quella con la q, fiore all’occhiello del nostro Bel Paese, è un’antologia di rara bassezza e squallore (e forse anche per questo verrà ricordata dagli adulti di domani come i migliori anni delle loro miserabili vite).

Scoppia il caso della professoressa in perizoma palpeggiata nelle zone basse dai suoi audaci studenti: filmato su YouTube (poi censurato) e relativo servizio integrale e accurato di StudioAperto, edizione delle 12.25 di oggi, che finalmente riesce così a conciliare il dovere di cronaca con la sua ormai consolidata vocazione per poppe e natiche di cui riempie i suoi pregevoli e accurati servizi giornalistici (che arricchiscono le giovani menti, edotte in tal modo più che a sufficienza sull’anatomia umana della sgallettata di turno).

La cosa più pregevole del servizio realizzato oggi, è stata l’intervista telefonica (purtroppo non recuperabile da internet) realizzata alla professoressa vittima delle innocenti smanacciate: al di là del fatto che l’interessata ha dichiarato di non aver sentito pressoché nulla dopo 70 secondi buoni di sollazzo delle mani dei suoi studenti alle prese col il suo posteriore e col filo interdentale che lo "circuiva" (come da filmato), alla domanda se trovava opportuno presentarsi a scuola col perizoma risponde più o meno così: “ma, io non potevo sapere che si vedeva da fuori, e poi questo tipo di perizoma è venduto apposta affinché, se esposto alla vista, non sia sgradevole da vedere”. Dubitando che esistano perizomi che si vendono per essere sgradevoli alla vista (soprattutto quella maschile), aggiungiamo pure che non è questo il problema: cara prof, se il perizoma fosse stato sgradevole, stia pur certa che i suoi studenti le mani sarebbero andati a ficcarle altrove!

Ed ecco la prima rovina della squola, quella con la q, italiana: insegnanti sull’orlo di una crisi di nervi.

Ah, le mani! Sembra proprio che noi italiani non sappiamo tenerle a posto. Nemmeno i genitori di quelle povere creature che si chiamano studenti. Sì, si da il caso che nel Viterbese, una mamma convocata dalla preside per gli atti di bullismo, sopraffazione e violenza della figlia nei confronti dei compagni di classe, ad un certo punto non è più riuscita a controllare la gesticolazione nel corso del pacato diverbio con la dirigente dell’istituto: giù paccheri e sberloni alla preside che aveva avuto di dire a quella povera mamma che la sua cocca era una piccola delinquente.

Ed ecco la seconda rovina della squola, quella con la q, italiana: i genitori. Ad alcuni dovrebbero levare la patria potestà; oppure noi dovremmo chiedergli i danni per aver allevato, col sorriso ebete e compiaciuto, piccoli criminali.

E gli studenti? Vittime, sempre: della troppa libertà, della poca libertà; dei genitori autoritari, dei genitori assenti; degli insegnanti vendicativi, degli insegnanti ingenui. E così via, in una escalation di deresponsabilizzazione che, tra perizomi e paccheri, lascia sempre il posto ad una bella pacca sulla spalla, buonista e perdonista: “Va’ figliolo, per stavolta. Ma la prossima…”.

La prossima cosa?!

*Avrei potuto usare un’altra espressione, ma il fascino dell’ambiguo è stato troppo forte! Ad ogni modo, i modi per dire che si salta la scuola all’insaputa di tutti sono molteplici: fare sega, fare magno, marinare, giocarsela, bigiare. Dipende da regione a regione, da zona a zona.
Ne conoscete altri? Nei commenti please!

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Tuesday, February 13, 2007

A volte ritornano



In fondo, è quello che adombravamo in Rigurgiti a sinistra.

Arrestate le nuove Br, che programmavano attentati, si esercitavano in un improvvisato poligono, discutevano a tavolino con quel linguaggio così tipico, chiaro ma non immediato.
Br di seconda posizione, Br che non si arrendono all’idea di come non sia più tempo per loro. Difficile scrivere che si prova paura di fronte al ritorno di questa sigla; si prova forse più una certa costernazione, forse un po’ di disprezzo, certamente tanta amara tenerezza: in fondo, questi brizzolati Peter Pan di un’Isola che non c’è, e che non c’è mai stata, somigliano a tanti di quei cantanti demodé che portano ancora la brillantina, e hanno gli occhi lucidi dei bei tempi che furono.
Non riescono a fare i conti con la Storia, queste Br qua, né riusciranno mai a farli quadrare a loro favore, dato che la partita è ormai persa da tempo; colpisce di loro, il rifiuto e la negazione della realtà: loro che la realtà vorrebbero sovvertirla a suon di mitra e bombe. Colpisce quella teorizzazione della violenza politica, della lotta armata, fatta ai tavoli dei ristoranti cinesi, fra un involtino primavera e un gelato fritto.
Sono degli emarginati di lusso di questa società, forniti di un’intelligenza mal spesa: se solo ci pensassero su, quanto somiglia la realtà alla loro brutta utopia!
Siamo tante anime uguali nel nostro essere consumatori e non individui, nel nostro essere conformisti, alla moda, trendy, massificati da massicce dosi di Grande Fratello e telegiornali ridicoli e carne nuda: non esiste “social catena” che unisca tanto quanto il voyeurismo da salotto, la domenica catodica in pantofole, la chiacchiera da bar sempre così uguale, banale, commerciale, il telefonino sempre più piccolo, il carrello della spesa sempre più pieno.
Quei nostalgici di ritorno intercettano così l’insofferenza di quei giovani arrestati insieme a loro, e sono tanti: ventenni tirati su con la sbobba della politica dell’immagine, da Santoro a Ballarò passando per l’innovatore per antonomasia, il Cavaliere; vogliono annientare i simboli – belli o brutti che si voglia – del loro tempo (e nel caso del Cavaliere, avrebbero imbracciato le armi sul serio) e si danno alla clandestinità.
Ecco che il mondo di una certa sinistra radicale diviene un brodo di cultura e coltura dove certe brizzolate Br possono ancora avere ascendente, esercitare fascino e reclutare adepti: perché lì si parla la stessa lingua, o perlomeno, si usa lo stesso vocabolario, quello che accomuna i Sanguineti con gli irriducibili, gli Scalzone con i giovani pasionari dell’ultima ora e gli utopisti armati di vecchia data.
Poeti e intellettuali o sedicenti tali che parlano di lotta di classe e di ritornare a sparare dalle trincee: difficile chiedere al figlio di posare il coltello se i padri lo tengono ancora ben saldo fra i denti.Storie, queste, di chi non si arrende alla realtà, alla sconfitta subita dalla Storia, a ragione di un egoismo e un egocentrismo esasperati, mai paghi, bisognosi di essere protagonisti nel bene e anche e soprattutto nel male, anche al prezzo di divorare le carni dei propri figli come Crono, e inghiottirne le anime. Anime giovani di chi si crede tanto forte da imbracciare il mitra e la clandestinità fuori tempo massimo, ma è così debole da essere incapace del parricidio: il rifiuto di quella violenza che ci ha già lasciato un segno indelebile nella Storia, anche se per fortuna ha perso.

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Monday, February 12, 2007

Eureka!

É pronto il manifesto per il Partito Democratico: principi e valori accomunanti del nuovo manifesto sono stati individuati

"nel Cristianesimo, nell'Illuminismo e nel loro complesso rapporto"


Svelata finalmente l'utilità del DICO...

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Friday, February 09, 2007

Tra moglie e marito non mettere il DICO

Chissà perché è costume dei politici nostrani alle prese con provvedimenti seri, denominarli con diciture tali da sbizzarrire la fantasia di guitti e comici vari.

E nonostante ciò il ddl Bindi-Pollastrini rappresenta una buona base di discussione, seppure migliorabile.

Importante è che, presso l’Anagrafe, gli interessanti si registreranno tramite una dichiarazione contestuale e non congiunta: ciò rappresenta una giusta differenza di principio tra chi si avvarrà del DICO e chi invece regolerà la propria convivenza attraverso il matrimonio civile.

La bozza del ddl sembra concentrarsi su quei diritti individuali la cui tutela, da più parti, era stata richiesta, e in fondo, poco importa se alcuni articoli del ddl paiono risultare un doppione di norme già in vigore: in primo luogo perché, tanto, l’Italia è già un Paese subissato da norme e leggi, superflue, inutili o doppie che siano, quindi, una più una meno, tale impostazione alla giurisprudenza italiana viene da lontano, e non spetta certo al ddl in questione mettere riparo al fiorire abbondante di norme e regole di cui è vittima il Paese; in secondo luogo, visto che siamo un Paese dove vige un numero sproporzionato di leggi che di fatto vengono spesso ignorate, mal interpretate, o derogate grazie ad altre leggi, diciamo pure che se il DICO va a tutelare diritti individuali già tutelati da altre leggi, in ogni caso, in Italia…repetita iuvant.

Però. C’è un però. Anzi, più di uno.

Ci sono provvedimenti all’interno del DICO che evadono dalla semplice e giusta tutela del diritto individuale. Per quanto non si tratti esplicitamente di un riconoscimento della pensione di reversibilità al convivente che sopravvive, di fatto il ddl sembra aprire a tale possibilità, previa riforma previdenziale. Ciò non rientra nella sfera dei cosiddetti diritti individuali e di fatto, surrettiziamente, introduce un’equiparazione (o quantomeno, l’intenzione di un’equiparazione) fra chi sottoscrive un DICO e chi contrae matrimonio; e allo stesso modo il diritto al mantenimento dopo lo scioglimento del DICO. La regolazione dei cosiddetti alimenti costringe gli stipulatori del DICO a contrarre obblighi che derivano piuttosto dalla natura del matrimonio civile.

Stando alle indicazioni del ddl possono in tal contesto verificarsi episodi profondamente ingiusti: vero è che si è tenuti a prestare gli alimenti solo per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza e solo se la convivenza è perdurata almeno tre anni (esempio: convivenza di 5 anni, scioglimento, obbligo conseguente di versare gli alimenti all’ex convivente in stato di bisogno per almeno 5 anni), ma è anche vero che l’obbligo di versare gli alimenti cessa qualora l’avente diritto contragga matrimonio o inizi una nuova convivenza. Allora, supponendo che io conviva per 20 anni, cesso il mio status di convivente, mi faccio versare gli alimenti, intreccio una nuova relazione affettiva e sentimentale ma non la regolarizzo né col matrimonio né col DICO: e mi godo gli alimenti e il mio nuovo convivente alla faccia di quello vecchio. E alla faccia di quel DICO che tanto ho richiesto e di cui tanto avevo bisogno.

Al di là di questi casi estremi (ma non per questo indegni di nota), c’è poi la questione dell’accesso alle graduatorie per le case popolari: anche i contraenti DICO ne avranno accesso sì, giusto, ma quale punteggio verrà loro attribuito? Lo stesso che viene attribuito a chi contrae matrimonio? Anche questa norma potrebbe surrettiziamente introdurre un’equiparazione di fatto tra chi contrae matrimonio e chi stipula un DICO, evadendo così dall’intento dichiarato di normare e tutelare esclusivamente i diritti individuali delle persona coinvolte in convivenze di varia natura.

Il ddl nel complesso sembra avere il merito di essersi realmente concentrato sul rispetto e sulla tutela dei diritti individuali, anche perché tiene conto espressamente non solo delle cosiddette coppie di fatto (eterosessuali od omosessuali che siano), ma anche di tutta una serie di convivenze nuove e non tradizionali che le nostre società vedono irrompere in uno scenario sociale sempre più complesso, dinamico, frenetico e non convenzionale.

Starà all’iter parlamentare conciliare i principi con la pratica onde evitare che quest’ultima vada a ledere i primi; compito arduo e ardua sarà la sentenza: e visti i tanti nì in circolazione da una parte e dall’altra, l’ardua sentenza sembra più affidata ai posteri che non ai contemporanei.

E in ultimo: ma se DICO sta per Diritti e Doveri dei Conviventi, perché il DO di DIDOCO si è perso per strada? forse non siamo gli unici ad aver dei dubbi sulla natura dei doveri e sui problemi che comporta al DI(DO)CO metterli sul tappeto.

Il testo (da poco on-line) del ddl su Corsera

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Mafie: consenso negato

Da diversi tempo questo blog sostiene l'associazione AmmazzateciTutti: il 17 Febbraio è prevista una manifestazione a Reggio Calabria, organizzata dai giovani di questa associazione che si batte contro tutte le mafie. Segnalarla è il minimo che possiamo fare, a favore di chi si batte per un cambiamento culturale radicale con e nello spirito di chi, servitore dello Stato, è caduto perché lo Stato non è riuscito a proteggerlo:

"se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come in un incubo..."
Paolo Borsellino


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Monday, February 05, 2007

Show must go on

Dicono che una vita umana non ha prezzo. È vero. Non ha prezzo perché non vale niente.
La pantomima del cordoglio e del dolore messa su dal carrozzone sportivo e mediatico non è riuscita a tenere la scena fino alla fine dei funerali dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, caduto venerdì scorso in servizio, presso lo stadio Massimino di Catania.
Il cerone si è sciolto presto.
Già oggi in mattinata, Mediavideo riporta le dichiarazioni di un dirigente doriano che denuncia la perdita economica derivata dallo stop al campionato: sei milioni e mezzo di euro, a suo dire, per la sua squadra. Poco dopo, i media riportano le dichiarazioni di Antonio Matarrese, presidente della Lega Calcio: “Il calcio non può chiudere, i morti sono parte del sistema. La Fiat per rilanciarsi non si è certo fermata...”; e ancora: “i morti del sistema calcistico purtroppo fanno parte di questo grandissimo movimento che le forze dell'ordine ancora non riescono a controllare. […]questa è una industria che paga i suoi prezzi”.
Il calcio è un’industria: ci siamo arresi da tempo a questa evidenza, ma non ci risultano produzioni industriali che vedono la morte quale prerogativa del bene prodotto e venduto; non ci risulta che esistano industrie dove il legame tra produttore e consumatore è tanto stretto da confonderli insieme in un unico sistema produttivo: sì perché, se la morte è parte del sistema calcio, e l’uccisione dell’ispettore Raciti è stata opera di ultrà violenti e assassini, allora dobbiamo inferire che il calcio come sistema produce morte, e che le società sportive, parte integrante del sistema, ne siano corresponsabili.
Un’ammissione di colpevolezza, dunque.
Inconscia forse, ma pur sempre una confessione volontaria.

I perbenisti si sono levati, nel giro di poche ore, il passamontagna dell’ipocrisia e della finta indignazione e commozione ostentata in TV; quello che conta per il sistema calcio è il business, la torta da spartire è grande e tanti sono i famelici che non hanno remore a banchettare sul feretro: società sportive, televisioni e sponsor su tutti.

A cosa serve lo stop del campionato? si sono chiesti retoricamente i salotti perbene dello sport televisivo in questi giorni.
Magari, cari signori dell’audience, serve per riflettere, non per azzannarsi, gridandosi dietro l’un l’altro da comode poltrone per fare audience: lo stop del campionato non voleva essere per voi, non doveva essere, l’ennesima occasione per darsi al sensazionalismo inconcludente che vi contraddistingue, alle parole vacue pronunciate alla rinfusa tra la confusione e lo stordimento generale.
Non sia mai che il campionato si fermi un’altra domenica; chissà quali bassezze sareste capaci di inventarvi: le facce contrite di circostanza, quelle, riusciamo ancora a sopportarle, seppure con un po’ di ulcera.

Forse, nemmeno stavolta l’indignazione popolare e l’apparente risolutezza del Governo, basteranno a dire basta; non sarà possibile farlo fino a che il calcio non sarà messo in grado di riappropriarsi della sua essenza: quella di essere uno sport, e non un canale privilegiato dove sfogare disagi, degradi e violenze sociali sotto un particolare riflettore. Non sarà possibile eliminare l’inciviltà sportiva e le infiltrazioni delinquenziali dal sistema calcio fino a quando non saranno tutti i soggetti appartenenti a tale sistema ad assumersi la piena corresponsabilità di ogni atto che avviene al suo interno: quando le società sportive si assolvono da ogni responsabilità, di fatto danno un consenso, sotto forma di silenzio assenso, ai crimini perpetrati fuori e dentro gli stadi in nome dello sport calcio.

Ciò che indigna, è che tale menefreghismo sia operato in nome del denaro.
Alla faccia dei valori dello sport
: questi non hanno prezzo, perché non valgono niente, come la vita umana.
Per tutto il resto, c’è Mastercard.

Leggi il commento de la Repubblica
Il reportage dai funerali su Rainews24

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Thursday, February 01, 2007

GF: nessuna pietà


Raniero, il concorrente del GF 7 condannato per percosse, resta dentro la Casa.


É l'unico in Italia a non aver beneficiato dell'indulto...

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Doppia (Tripla, Quadrupla,...) Coppia

Il tema del riconoscimento delle coppie di fatto può essere il più facile o il più complesso da affrontare, secondo la serietà con la quale ci si cimenta. Un riconoscimento tout court che equipara la natura delle relazioni di fatto al legame matrimoniale è la via più semplice e banale, ed anche la meno battuta in seno alla nostra classe politica, non tanto per lo spauracchio dell’anatema (politico) papale, quanto per le evidenti contraddizioni che reca in sé, sin dall’impossibile incontro tra una coppia omosessuale e l’etimologia della stessa parola matrimonio; un’etimologia che denota il legame per quello che è, e che non può essere, in quanto tale, snaturato.



Vi sono diritti individuali che vanno riconosciuti, poiché non hanno da esistere, all’interno della società civile, cittadini di serie B; ma se il tema è questo, come è giusto che lo sia, sulla questione si ha da distinguere fra coppie di fatto eterosessuali e coppie di fatto omosessuali, poiché solo queste ultime sono soggette a discriminazioni non godendo ancora di chiare norme giuridiche che tutelino i loro diritti individuali. Una legge sui Pacs che mette i due tipi di relazione sullo stesso piano, potrebbe (condizionale d’obbligo finché il ddl non sarà presentato) fornire alla coppia di fatto eterosessuale una scappatoia dalle proprie responsabilità: esiste già il riconoscimento giuridico di una coppia eterosessuale convivente, ed è il matrimonio civile, che regola diritti e doveri di quella famiglia che è base connettiva e di sviluppo del tessuto sociale, non solo secondo Costituzione, ma anche culturalmente e antropologicamente.



I Pacs non possono essere, per le coppie di fatto eterosessuali, un doppione del matrimonio civile che ne preveda gli stessi diritti, ma non eguali doveri.



Il discorso si fa diverso per le coppie di fatto omosessuali che, in quanto tali, non rientrano nella categoria della cosiddetta famiglia naturale, e quindi, se pure – ovviamente – vanno a queste riconosciuti i medesimi diritti individuali di cui ogni cittadino gode, nondimeno non gli si può chiedere di assumersi le stesse responsabilità e gli stessi doveri che uno Stato – legittimamente – chiede di assumersi ad una coppia eterosessuale (che altrettanto legittimamente può opporsi alla richiesta, ma che, in qual caso, non può reclamare quei diritti riconosciuti a chi invece le proprie responsabilità se le è assunte contraendo matrimonio). Non si tratta di discriminazione ma di condizioni, di fatto, differenti, che prevedono diritti – ed eventualmente doveri – differenti.



È anche da contemplare – e si va così a complicare ulteriormente il problema, ma è doveroso farlo - un fenomeno tutto moderno che si è creato in conseguenza di nuovi modelli e stili di vita; è necessario prendere atto che ci si può, in talune occasioni, trovare di fronte a relazioni, per così dire, anomale, che esulano da quelle tradizionali, così come da quelle di tipo omosessuale: è il caso della convivenza tra amici, tra persone anziane, per reciproco interesse e via dicendo; sono tutte circostanze che non prevedono – né pretendono che lo sia – il riconoscimento di un legame affettivo di tipo sentimentale così come siamo abituati a definirlo.



Che fare di fronte a ciò? Può bastare una normativa ad hoc su forme contrattualistiche private che regolino la mutua solidarietà e ciò che eventualmente ne deriva?



Si tratta di circostanze complesse che, ad onor del vero, il Parlamento intero sta affrontando seriamente, mettendo in campo motivate convinzioni e soluzioni diverse, facendo prove di dialogo.Sperando che le logiche partitiche e barricadere non prendano il sopravvento sulla questione culturale e sociale che si è innescata, e che è così tanto rara vederla messa sul tappeto nei corridoi del potere.

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