Versus vs versus

Thursday, August 31, 2006

La pornoprof

Ultimi pruriti estivi in quel di Pordenone, dove un gruppo di genitori benpensanti vorrebbe mettere al rogo una quarantenne professoressa di lettere rea di apparire on line in servizi fotografici dalle pose decisamente hard: dalle lettere alla lettera scarlatta.
Sono questi i momenti in cui un genitore gonfia tronfio il petto: uno di quei casi di responsabilità genitoriale paterna e sapienza pedagogica materna coniugati, che sono così rari oggi, nella società della fretta e dell’iper-lavoro dove la TV fa da baby-parking. Se non fosse che il caso si monta grazie a qualche zelante studente che la notte fa le ore piccole sul web e in pochi clic rintraccia la prof. Svestita. E giù gli strali dei novelli De Amicis; quegli stessi ai quali non importa che i propri figli navighino in cerca di sollazzo virtuale. Imperativo rimane che la sgualdrina non insegni, perché con la condotta che tiene nella sua vita privata non può fungere da esempio educativo per i pargoli; cioè non può sostituire i genitori nel loro ruolo di educatori così come loro vorrebbero.
Fare i benpensanti ed essere assenteisti in casa, forse glielo si può pure concedere: defraudare della capacità di fantasia i propri figli, quello proprio no! Questi solerti vigilantes della morale e del pubblico pudore oltraggiano la bellezza reale per fare posto a quella virtuale, e preferiscono che i propri figli si sfreghino le mani di notte di fronte al loro LCD per presentarsi al mattino a scuola con le occhiaie, di fronte ad un supplente incapace e magari, pure poco bello da vedere. E così, si ruba il sogno (e il sonno) di ogni studente: la professoressa sexy, figura che si credeva ormai chimerica, mitica, che evoca sensuali suggestioni di rara bellezza e profondità: le lezioni fra i sospiri, gli sguardi trasognati e lucidi.
Rara fortuna quella dei ragazzi di Pordenone, cari genitori, cacciare l’insegnante a nulla serve: magari ne saranno tutti morbosamente innamorati, ma perlomeno impareranno l’italiano più volentieri.

E di questi tempi, non è poco.

Per la notizia di cronaca: Corriere.it

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Monday, August 28, 2006

Il Papa Duce, Cavaliere di CIELLE

Di anno in anno il Meeting di Rimini sembra sempre più una realtà tanto vicina alle parole del suo fondatore quanto lontana dal suo pensiero.
Ed è triste che la forza propositiva e propulsiva degli allora ragazzi di don Gius sia oggi impiegata nella standig ovation accalorata per la persona di Silvio Berlusconi, praticamente auto-proclamatosi figlio e, osiamo, erede legittimo (perlomeno spirituale) di don Giussani.
Anche fuor di campagna elettorale ogni tendone fa rima con propaganda, ed ecco allora che l’intervento al Meeting del capo dell’opposizione si impreziosisce di perle storiche: “secondo noi l'Italia deve essere cattolica e degli italiani. La sinistra pensa invece a un'Italia plurietnica”; si tratta di una felice sintesi tra Mussolini e il Papa Re.
È vero che la sinistra spesso ha adottato provvedimenti in materia di immigrazione che si sono rivelati inutili, se non dannosi, ma allo stato delle cose si tratta di un problema che non si può affrontare con la propaganda di basso profilo. Stupisce e sorprende l’atteggiamento dei ciellini: certe affermazioni di questo tenore le avremmo dette più classiche di incontri pseudo-mistici a Pontida o sulle rive del Po, ma non certo le diremmo proprie di un’associazione cristiana e cattolica. La convivenza di diverse etnie in territorio italiano è oramai un dato di fatto, rinnegare ciò è rifiutare la realtà. Compito di un buon cristiano è probabilmente renderla possibile questa convivenza, non osteggiarla per mezzo della xenofobia e di un insensato integralismo cattolico: ma in quale pagina di don Giussani CL ritrova il carattere chiuso e impermeabile alla società che evolve, carattere che pare avere sviluppato in questi anni, e soprattutto a seguito della scomparsa del suo fondatore, del quale senz’altro è venuto meno il carisma? Ma, ancor prima, in quale pagina delle Sacre Scritture? Chi si dice cristiano nell’intima convinzione di percorrere il giusto sentiero che in realtà è la strada che porta al soddisfacimento dei propri bisogni e non del desiderio di Cristo, allora quello è, probabilmente, un cattivo cristiano. Come è possibile spalancare le porte a Cristo se non si è disposti ad aprirle al genere umano?
L’Italia non è proprietà di qualcuno, è una nazione che vive e cresce, si trasforma.
Forse il capo dell’opposizione si era portato dietro la claque quel giorno, e non resta che sperarlo: se questo tipo di atteggiamenti trovassero terreno fertile in realtà associative così importanti come CL, ciò non sarebbe che il primo passo importante verso quel sistema teo-con che vorrebbe (più o meno inconsapevolmente) trasformare un inevitabile incontro-scontro di culture nel Mediterraneo in una guerra di religione senza quartiere.La non reciprocità del valore della libertà religiosa non rappresenta scusa né condizione che ci consenta di rinunciare ad un valore fondamentale –laico- nel quale crediamo; farlo sarebbe una sconfitta auto-inflittaci in nome della paura di un nemico inesistente, in nome di una piatta ottusità mentale, in nome di un Papa Duce che reclama a sé un’Italia Cattolica degli Italiani.

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Tuesday, August 22, 2006

Il Gatto e la Volpe

La risoluzione 1710 dell’ONU che vorrebbe regolare l’intervento di una forza multinazionale di pace nel sud del Libano è l’ennesimo atto fallimentare del Palazzo di Vetro che ne denuncia e sottolinea tutta l’inconsistenza e la debolezza, nonché i limiti e l’inefficacia: la tregua è già stata abbondantemente violata, gli obiettivi della risoluzione sono farraginosi, i mezzi con cui conseguirli ancor meno chiari. È una missione di peace-keeping o di peace-enforcing? I documenti sembrano sostenere più la prima ipotesi, ma le regole di ingaggio, che dovrebbero consentire alla forza militare ONU un certo raggio d’azione (per non bissare il disastroso approccio di 23 anni fa che costò la vita a decine e decine di uomini), sembrano più adatte ad una missione del secondo tipo.
La poca chiarezza e trasparenza, sebbene dettate dalla situazione oltremodo delicata, rischiano non solo di rendere difficile il raggiungimento degli obiettivi, ma di mettere a repentaglio la vita dei soldati che in quello scenario di guerra andranno ad operare. Non sarà compito di questa forza militare disarmare Hezbollah, ma dovrà fare in modo che dai territori da essa presidiati non si dia avvio ad atti ostili: nella sostanza ciò significa disarmare chi ha intenzione di recare minaccia e offesa armata oppure no? Sarà consentito l’uso delle armi solo per autodifesa o anche per disarmare coloro che sono intenzionati a violare la tregua? E in quest’ultimo caso si figura o no una palese contraddizione coi compiti assegnati, nonché un conflitto di competenze con l’esercito libanese, l’unico autorizzato a disarmare Hezbollah?
La chiarezza delle regole di ingaggio e della risoluzione ONU (già ieri più Paesi hanno chiesto un’integrazione alla 1710) non sono meri atti burocratici, bensì le condizioni necessarie (e non sufficienti) perché la missione possa trovare una sua legittima direzione e possa svilupparsi nella maggior sicurezza possibile di tutti i soggetti coinvolti.
Purtroppo, nello stesso tempo, non sembra che l’Europa possa svolgere quell’attività diplomatica di negoziazione che non sarebbe di semplice supporto alla missione, ma sarebbe fulcro centrale attorno al quale dovrebbero orbitare le speranze di una tregua vera che non sia solo il rimandare una guerra in Medioriente che, allo stato delle cose, appare solo procrastinata.
È ormai evidente come all’indomani dell’11 settembre, in Europa l’asse Berlusconi – Blair – Aznar mise a suo tempo in discussione l’egemonia franco-tedesca; i due Paesi, da sempre contrari alla linea filoamericana adottata dall’asse anglo-italo-spagnolo, non si sono mai rivelati nemmeno propositivi o critici positivamente, limitandosi a curare i propri interessi e tutelare la propria immagine. È ciò che hanno fatto anche in questo delicato frangente.
Il rischio per noi italiani ora è di ritrovarci di fronte a qualcosa di troppo grande perché il peso possa essere sopportato da una sola nazione, sebbene armata di buona volontà, come la nostra.
Senza contare l’insensata rapidità e l’adesione senza distinguo né condizioni alle sollecitazioni dell’ONU: una fretta dettata più da ragioni di politica interna che di politica estera, che vuole rimarcare in patria la differenza fra questo e il precedente governo rispetto ai rapporti con ONU e USA e al ruolo e al prestigio internazionali.
Il rischio di un nostro comando della missione e di un contingente così numeroso di uomini messo a disposizione, è quello che a noi unicamente venga addebitata sul campo una sconfitta (molto probabile) degli intenti della missione.
Troppi, in questo momento, al governo, hanno idee confuse una conoscenza meno che superficiale del territorio e degli attori sulla scena: come può il nostro Ministro degli Esteri Massimo d’Alema proporre di incorporare le milizie Hezbollah nell’esercito regolare libanese? Questo comporterebbe una premessa e una conseguenza: in primo luogo bisognerebbe dunque presupporre che la causa di Hezbollah, mosso da odio verso Israele, rappresenti in qualche modo una causa nazionale per il Libano, se quest’ultimo considerasse le milizie Hezbollah, a pieno titolo, milizie regolari; da ciò ne deriverebbe la piena legittimità di quei bombardamenti israeliani su Beirut che fin qui abbiamo deprecato come scellerati e senza senso. Sarebbe una guerra fra due Stati sovrani.
Bene fa invece il Ministro della Difesa Arturo Parisi a sottolineare la pericolosità della missione che probabilmente ci verrà affidata; anche perché l’idea dell’ONU di affidare all’esercito libanese il compito di disarmare Hezbollah, per quanto ineccepibile da un punto di vista diplomatico, rischia sul piano pratico non solo di non ottenere alcun risultato, ma addirittura di peggiorare la situazione già drammatica della popolazione civile: se è vero che almeno il 60% delle truppe libanesi è sciita, come Hezbollah, mentre le chiavi del comando militare sono in mano a cristiani, drusi e sunniti, un pressing asfissiante su Hezbollah potrebbe alfine paventare il rischio di una guerra libanese intestina, aggiungendo caos a caos e fornendo una possibile ghiotta occasione a Siria ed Iran. In conclusione, la risoluzione 1710 configura non tanto una missione di pace, quanto una missione di speranza di pace, tra mille dubbi e incertezze. Una speranza che, si spera, non richieda ulteriori sacrifici umani.

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Sunday, August 06, 2006

Chiuso per ferie

Vi informo che l'aggiornamento del blog è temporaneamente sospeso per la pausa estiva.

Questo anche per consentirmi di arricchirlo con contenuti extra e cercare di migliorarne i servizi e la grafica.

A tutti gli utenti e i commentatori buone vacanze e un arrivederci al 20 agosto

Ciao!

AV

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